Monday, August 27, 2007

Hasta la vista

Titoli di coda

Durata soggiorno: 28 giorni

Been there, done that: Cancun, Ciudad De Campeche, Chetumal, Chiapa De Corzo, Izamal, Merida, Playa Del Carmen, Riserva De La Biosfera De Siaan Ka’an, San Cristobal De Las Casas, San Juan Chamula, San Lorenzo Zinacantan, Tulum pueblo, Tulum ruinas

Il meglio: Centro Ecologico Sian Ka’an, Playa Paraiso (Tulum), San Cristobal De Las Casas e dintorni, Ciudad De Campeche, Izamal

Il peggio: Chetumal (repetita juvant), Aereoporto Barajas di Madrid (dove le coincidenze non coincidono mai)

Chilometri percorsi: 2.791

Consumo complessivo refrescos assortiti (agua purificada, cerveza, Coca, Fanta, Sprite, Horchata, chocolate, caffè): ca. 98 l

Consumo tortillas, huevos revueltos, frijoles charros, molepoblano, tamales e altri piatti tipici: ca. 18 kg

Consumo snack più o meno rivoltanti (Globitos, Oreo, Sabritas, Pan Dorado, etc.): ca. 2 kg

Consumo Junk Food: 1 Bacon Whopper queso/tocino menu, 1 piatto di pasta con infrequentabile ragù di scatoletta ma autentico parmesan cheese e –sorpresa!- spaghetti al dente

Consumo carte telefoniche larga distancia: 4, per 120’ di conversazione effettivi

Consumo medicinali: Moment (2 compresse), Aspirina effervescente (2 bustine)

Consumo librario: 1427 pagine (“L’elenco telefonico di atlantide”, Tullio Avoledo, Einaudi; “Nessuna cortesia all’uscita”, Massimo Carlotto, e/o; “Le Zanzare di Zanzibar”, Giancarlo Narciso, Fazi Editore; “Mille splendidi soli”, Khaled Hosseini, Piemme. Ci sarebbe anche la fondamentale antologia su Jose Guadalupe Posada di cui sotto, ma in quel caso è bastato guardare le figure, peraltro molto belle)

Miglioramenti nella pratica dello spagnolo: primi congiuntivi coniugati al presente, apprendimento e uso sporadico termini fondamentali quali “Por su puesto” (“naturalmente”), “todopoderoso” (“onnipotente”), “Horchata” (“orzata”), “Ademas” (“oltre a”), “Buena Onda” (“Figata”)

Internet Point visitati: 10

Foto scattate: 255

Souvenir acquistati: nn. 1 Candelabro in terracotta modellata e dipinta a mano, nn. 1 tovaglia bianca ricamata tono-tono, nn. 10 decorazioni natalizie in latta smaltata, nn. 1 confezione caffè tostado & molido in Chiapas, nn. 1 confezione salsa piccante habanero Chimay da 150 cl, nn. 3 confezioni Mole Doña Maria da 125 g, nn. 1 orrenda sacca griffata “Playa Del Carmen”, nn. 1 sarape a strisce rosse e nere, nn. 1 coperta da viaggio in pile marcata ADO, nn. 4 cartoline soggetti assortiti, nn.1 monografia “Posada” dedicata all’omonimo incisore

Morti & feriti: nn. 1 felpa, 3 paia mutande, 1 cintura, nn. 2 confezioni di cioccolatini José Cuervo Especial. Ci mancheranno, ma la vita continua

Special Thanks: ADO, American Express, B&B Le Gite Del Sol (San Cristobal De Las Casas), Cablemas, Cristal, Gamesa, Nikon, Omnibuses Cristobal Colon, Hotel Plaza (Playa Del Carmen), Sigma, Ticketbus.mx.com, Telcel Mexico, Timberland, Visa, Vosonic. Un ringraziamento particolare a Stefano, Paola e Maite per l’ospitalità e i buoni consigli, e uno all’uragano Dean per averci permesso di tirarcela da veri globetrotter senza però strapazzarci troppo. Un abbraccio e un ricordo speciale all’Enzone: senza il suo esempio, tutto questo non sarebbe stato possibile. Dissolvenza.

Wednesday, August 22, 2007

Appena prima di partire

E dopo quattro settimane, eccoci qui, pronti a rientrare alla base. Mixed feelings, come in un ceviche di momenti che frullano fra coratella e dura madre, e un po' di strizza, perché l'aereo è pur sempre l'aereo, e se Dio avesse voluto farci volare, come diceva il sergente Hartman, ci avrebbe fatto spuntare le ali al culo.
E però: si torna a casa.
Con la voglia di tornare. Di raccontare. Di inventarsi altri viaggi. E con qualcosa che forse c'è, forse no, ma insomma per ora parliamone sottovoce, tocchiamo tutto e chi vivrà vedrà.
Intanto, mancanno ancora un paio di post. Ma per chiudere in bellezza, tocca tornare in Italia. E dunque, mentre scrivo queste righe in un Cyber-Cafe della Avenida Uxmal di Cancun, sto già vedendomi il trailer delle prossime ventiquattr'ore.
Sarà una faticaccia, ma quando ce vo' ce vo'. Casa, dolce casa.

Era una notte buia e tempestosa

Cancun, 20 agosto 2007. Ore 18 e 45. Coprifuoco. Siamo chiusi in albergo da un'oretta buona, e dell'uragano Dean neanche l'ombra. Ci incolliamo alla Tv via cavo per capire come gira il fumo, ma di telegiornali nemmeno l'ombra. In compenso, ci cucchiamo un leccatissimo polpettone Tv sui Miserabili di Victor Hugo. Mentre Asia Argento schiatta in francese fra le braccia di Enrico Lo Verso, fuori dalla finestra inizia a piovigginare e tirar vento, ma niente de che. Fra il coprifuoco, il grigiore e la tele sembra di stare al Giambellino a novembre. Altro che uragano.

Ore 20. Su Canal 10 comincia il Tg. Dice che Dean ha raggiunto il quinto grado della scala Saffir-Simpson, quello corrispondente ai cazzi amarissimi. Guardo fuori, e improvvisamente mi sembra di aver girato su un documentario di Godfrey Reggio: sullo sfondo un po' grigio un po' arancio un po' viola del tramonto, le nuvole si addensano in fast forward. Brrr.

Ore 21. Tg finito. Un clic del telecomando e finiamo sul canale A&E, dove va in onda la serata Addams. Anche da questa parte dello schermo il clima è un po' Addams: il vento scuote le palme sulla strada con strattoni rabbiosi da rottweiler, e piove direttamente di traverso. A secchiate. I doppi vetri della finestra tremano sotto la pressione del vento, e dalla porta d'ingresso, che si affaccia sul patio, comincia a filtrare dell'acqua. Asciughiamo e controlliamo le serrature. Non si sa mai.

Ore 22,15. Fester, guarda un po' le coincidenze, sfila dalla libreria di casa Addams un libro magico che scatena un uragano. L'effetto combinato delle immagini e del Dolby Surround powered by Dean è un'ottima imitazione del nostro impianto 5.1. Risatine nervose.

Ore 22,45. Una raffica di vento particolarmente velenosa fotte il segnale della nostra Tv via cavo. Quando riusciamo a ricollegarci, qualche minuto dopo, un Tg flash ci informa che sì, Dean è qui ed è incazzato come un toro. Per fortuna ha puntato l'occhio verso Chetumal. Non tutti i mali vengono per nuocere.

Ore 23,50. Fine di "The Addams' Family Values". Fuori la situazione sembra di nuovo normale. Apro la finestra che dà sul terrazzino. Tira ancora vento, ma senza esagerare. Mi guardo in giro. Danni visibili: qualche grossa pozzanghera, qualche tegola rotta, qualche allarme che suona a qualche quadra da qui. Nel cielo cupo, altre nuvole in modalità Koyanisquaatsi. Il peggio sembra passato. A 'sto punto direi che potremmmo anche azzardare un pisolo.

21 agosto 2007. Ore 7,30. Sveglia. Fuori pioviggina appena appena, e sta schiarendo. Buttiamo l'occhio alla finestra. Se c'è stato qualche evento epocale, ce lo siamo perso. Com'è dura la vita del reporter d'assalto.

Ore 9,30. Telefonate a familiari e suoceri, che dandoci per spacciati stavano già camminando sui muri. Tranquilli, cosa volete che sia un piccolo uragano.

Ore 11, 20. Giretto di perlustrazione nella zona hotelera. Negozi e supermercati, fatti salvi gli outlet di stronzatine per turisti, sono ancora tutti impacchettati. Gli uomini della protezione civile stanno sgombrando il Boulevard Kukulcan dalla sabbia e dai detriti trascinati fin lì dall'oceano, che a un centinaio di metri dal punto in cui siamo continua a rombare. Ci avviciniamo alla spiaggia, andando a ingrossare un capannello di curiosi e turisti che sembrano in trance: oltre i cordoni della polizia, a perdita d'occhio, cavalloni alti sei, sette metri si infrangono gli uni contro gli altri, fino alla fine dell'orizzonte. Un bel finale, per una giornata surreale ma bella. That's all, folks!

Tuesday, August 21, 2007

Aspettando Dean

Lunedì 20 agosto.
A "Matutino Express", la risposta messicana a "Unomattina", ci ridono su. Nelle abarroterias e nei 7/11 sparsi per la Calle 5, il corso principale di Playa Del Carmen, minimizzano: il tormentone del momento è "No pasa nada", cioè "Non succede niente". In tutti gli altri centri del Quintana Roo fra Cancun e Cozumel, il rumore più diffuso non è il brontolio della tempesta imminente, ma il battito ritmico dei martelli sui pannelli di compensato che pian piano stanno invadendo le facciate di tutti gli edifici fronte mare. Visto dall΄epicentro, insomma, l΄Uragano Dean fa molta meno paura che dalla distanza.

Difficile capire se sia perché qui di uragani se ne sciroppano una ventina l΄anno, o perché il lavoro duro, con il clima tropicale, diventi ancora più duro. Ma il sentimento prevalente non sembra la paura, piuttosto lo scazzo.

Nei supermercati, al bar o alla fermata dei peseros, la vita scorre con i ritmi soliti. Chi doveva spostarsi o cercarsi un rifugio, l΄ha già fatto. A giudicare dal TG delle 18 di Canale 10, nel Quintana Roo, come pure in Tabasco e in Yucatan, sono tutti allineati e coperti. Noi compresi.

Fuori dalla finestra del nostro hotelito di Cancun, le nuvole cominciano ad addensarsi sull΄orizzonte, oscurando il tramonto. Il caldo opprimente trasuda elettricità, come il vapore di un gigantesco ferro da stiro. Poco fa, uno stormo di gracchi messicani, uccelli neri come corvi e aggraziati come rondini, ha attraversato il cielo davanti al terrazzino, dirigendosi a Ovest. In giro ci sono soltanto le camionetas della Marina e della polizia federale. A quanto pare, il grande show comincerà fra un΄ora, verso le sette, per toccare l΄apice alle due del mattino.

E noi abbiamo un posto in prima fila.

Cartoline da Playa Del Carmen

Di seguito alcuni esempi di testi per cartoline da utilizzare in occasione di un soggiorno in Riviera Maya. In caso di necessità, sostituire Playa Del Carmen con altra location zarrissima a piacere.

Carissimi,
qui tutto favoloso, sole mare e cibo fantastico. Ci sono tanti ristoranti e locali italiani che sembra di essere a Riccione. Quindi... non ci mancate per niente! Baci!

Cari tutti,
Un grande ciao da Playa, un posto dove tutto è più: il mare più torbido che a Tulum, la cerveza più cara che a San Cristobal, la spiaggia più piccola e affollata che a Puerto Escondido. L΄unico meno sta nel nostro conto in banca... ma a questo penseremo al ritorno! Salutoni

Hola amigos!
Playa Del Carmen è tutta una fiesta: ogni sera una disco diversa! La migliore? Il Blue Parrot Beach Club... ieri sera festa revival stile Studio 54! E ogni sera se ne inventano una coi migliori diggei! Saluti discotecari!

Carissimi,
fra snorkeling, catamarano, diving e windsurf stare in vacanza qui è una faticaccia... meno male che in farmacia vendono prozac, anabolizzanti e Viagra a tutto spiano, un aiutino ci voleva proprio! Bacioni

Ehi ragazzi,
qui a Playa Del Carmen ci sono 5 supermercati pieni zeppi di ricordini... finte piramidi, portafrutta a forma di amaca, sombreri e tante altre cosine belle belle. Mi sa che per scegliere i souvenir ci toccherà fermarci un altro po΄! Bacissimi

(And so on...)

Monday, August 20, 2007

Izamal, la ciudad fotogenica

A vederla sulla Lonely Planet o sulla pagina web ufficiale, Izamal promette benissimo: architettura coloniale a strafottere, la terza piramide Maya per dimensioni in tutto il Messico, una solida reputazione nel campo dell'accoglienza e addirittura una sede del Rotary. Mica cazzi.

Quando ci arrivi, però, scopri una realtà diversa. Perché la ciudad amarilla è un microcosmo a sé. E il suo fascino non sta tanto nelle facciate del Convento di Sant'Antonio da Padova, che visto da vicino mostra tutte le magagne accumulate in cinquecento anni. Ma in una atmosfera sospesa che con il passare dei giorni ti ipnotizza e non ti molla più.

Izamal odora di malinconia, letame di cavallo e pelle finta. Di candeggina e frittura da quattro soldi. Di saramuyo e sabbia riarsa dal sole. Izamal è una macchina del tempo che basta passeggiarci dentro e puff, si torna a un mondo che esiste solo nei ricordi confusi dell'infanzia o nei film neorealisti. Izamal è bella dentro. Tanto che appena riesci a imprigionarla nel mirino della reflex, tutti i suoi difetti svaniscono. E quello che ti resta è un marchio giallo negli angoli blu cobalto della mente. Punto e stop.

Interludio # 3: sulla strada per Izamal

14 agosto. Da Merida a Izamal, passando per Hoctun, sono solo 50 chilometri. Ma per farli ci vuole un'ora e mezza di strada bianca a bordo di uno scassatissimo brontosauro a quattro ruote. Mi distraggo con una versione aggiornata del gioco del campanile. Cioè, prendendo nota di tutto quello che noto durante il tragitto. Nell'ordine:

- "El Atlantico Nightclub", Un oceano di diversion che bagna l'estrema periferia di Merida. Un grosso edificio su cui campeggia l'immagine di varie donnine ammiccanti assai desnude, almeno per i rigidi standard di qui.

- due venditori ambulanti di merendine fatte in casa. menu: pastelitas jamon y queso, papas, palomas e altre leccornie per soli iniziati. Tutte conservate in una cassettina incrostata di chissaccosa, sotto un telo di nylon che dimostra una ventina d'anni. Resistere alla tentazione non è una gran fatica.

- Un cartellone pubblicitario a forma di toro con una scritta "Magno" a caratteri gotici. Ma questi affari non erano un'esclusiva andalusa? Bah.

- Nuvole. Ce n'è una che somiglia a un volto disegnato da Hokusai.

- Un campo sterminato di henequen -in italiano: agave- che mi ricorda la tequila reposado che mi sono ciucciato ieri sera a Campeche. Buona davvero: in confronto, la Jose Cuervo che beviamo noi in Italia sembra trielina.

- Un piccolo pueblo chiamato Tahmek. Al centro del paese noto un'enorme corral di legno e foglie di palma che sembra l'arena africana di "Il gladiatore". Elena mi impedisce fisicamente di scendere dal bus. Sigh.

- Cimiterino locale tutto colorato. Sembra meno triste dei nostri, ma è solo un'impressione: qui in Messico, i colori non sono mai gratis. E infatti: le tombe nere sono riservate agli anziani. Quelle azzurre, agli adulti. Quelle verdi agli adolescenti, e quelle bianche ai bambini. E qui, come in altre parti del Messico, sono più o meno la metà del totale.

- Altri pueblitos: Hoctun, Citilcom, Kimbala. Se qualcuno organizzasse un premio per il Buco Del Culo del Mondo, si piazzerebbero benissimo. Ma dopotutto, sempre dietro Chetumal.

- E finalmente: Izamal.

Friday, August 17, 2007

Una città a modino: Campeche

Ciudad De Campeche, o più semplicemente Campeche, ricorda un po' la riviera ligure. Sarà il fatto che il mare c'è ma non si vede, nascosto com'è dai muraglioni eretti dagli spagnoli nel diciottesimo secolo per difendere la città da filibustieri e corsari. Saranno le tinte pastello degli edifici del centro historico, una scala Pantone di colori che va dal giallo, al verdino, all'azzurro, al rosa e al rosso carminio. O sarà il sorriso dei Campecheani, una mezzaluna candida di ironia salmastra sempre pronta a stamparsi in faccia alla gente. Sta di fatto che, come la Riviera Ligure, anche Campeche ha un carattere completamente diverso dalle altre città di mare della penisola dello Yucatan. Un carattere molto, molto levantino.
Qui, la cosa migliore da fare per passare il tempo è vagare per le vie intorno al Parque Principal alla ricerca di tesori architettonici come la Mansion Carvajal, la splendida magione moresca di calle 53, o l'ex cinema Selem all'incrocio fra la 57 e la 12, un bel saggio di architettura Anni 50.
E se i musei locali raggiungono una sufficienza stiracchiata - carini quelli di archeologia al baluarte de la soledad e al fuerte San Miguel, molto meno quello sulla marineria di Fuerte San Josè - la città merita comunque un soggiorno. E chi cerca emozioni più forti può usarla come campo base, perché sta a un tiro di schioppo dalla selva del Petén e dalle sue tante città perdute, o dai pueblos inondati dal sole dello Yucatan.
Tornando a noi: mentre i giorni cadono giù dal calendario, ci avviciniamo a una delle nostre ultime destinazioni, Izamal. La tappa intermedia è il terminal bus noreste di Merida, una stazione a metà fra un romanzo di Marquez e le FS dei primi Anni 70. Tappezzeria strappata, qualche ventilatore da terra che tenta stoicamente di arginare il caldo soffocante e un Deli-Mart che farebbe la gioia di ogni ufficio d'igiene in vena di crudeltà, dove acquistiamo un pacchetto di galletas Globitos Donde e una Coca per tappare un buchino. Questi piccoli cracker hanno una confezione kitschissima con una sorta di patatone antropomorfo in tenuta da chef, e sanno di buono. Meglio prender nota: di queste cose ci si dimentica in fretta. E in un diario di viaggio, sono i piccoli dettagli a fare la differenza.

Monday, August 13, 2007

Dieci cose da fare a San Cristobal in quattro giorni

1) Coprirsi benino. La capitale morale del Chiapas - quella vera si chiama Tuxtla Gutierrez - sta a 2.200 metri di quota. Qui piove spesso, specialmente da giugno a settembre, e la temperatura media sta intorno ai venti, venticinque gradi. Anche quando in tutto il centroamerica ce ne sono dieci in più. L'abbigliamento a cipolla, insomma, è gradito.

2) Concedersi qualche escursione nei dintorni. Da non perdere, in questo senso, il sito archeologico di Palenque, fra i più spettacolari di tutto il centroamerica. O il Cañon del Sumidero, che torreggia sulle acque del Rio Grijalva con i suoi 850 metri di altezza. O ancora, una visita a uno dei villaggi Maya Tzotzil persi fra le montagne. Prezzi popolari, a partire da circa 20 euro a escursione. E sono soldi spesi benissimo.

3) Trovare un bel posto dove dormire. Al contrario che in altri centri del Messico, qui è facilissimo: per riuscire nell'impresa, basta uscire dalla stazione dei bus e guardarsi intorno. Noi abbiamo scelto la posada Le gite del sol, un Bed and Breakfast economico e confortevole gestito da una adorabile coppia mezzo canadese mezzo messicana. Da tenere assolutamente presente.

4) Andare a caccia di souvenir, come il caffè e la cioccolata di Aroma Café, o le artesanias del mercado di fronte alla chiesa di Santo Domingo. Carinissimi anche i negozietti del centro: Santo Domingo Terracota (Avenida 20 de Noviembre 36/8) è l'ideale per l'arredamento e l'oggettistica; da Milagrosa (Aenida Jarez, 8), invece, vanno fortissimo i coloratissimi altarini tascabili Made in Mexico detti retablos. Occhio anche alle cartoline stile Tim Burton dell'engrabador fine secolo Jose Guadalupe Posada, tutte a base di scheletrini danzanti e introvabili altrove.

5) Tirar Tardi. A San Cris ci sono due Università, e locali e bistrot abbondano, soprattutto nel cosiddetto andador, il corso principale del centro storico. Per mangiare, meglio frugare nelle viette più defilate: al ristorante La Parrilla, per esempio, ci si strafoga di carne alla brace con 15 euri a cranio.

6) Scoprire che il 100 per 100 dei tassisti chiapanechi preferisce la Nissan Tsuru, una 3 volumi bruttissima e anonima che sta confinando nelle riserve i mitici maggiolini Wolksvagen, un tempo diffusi in tutto il Messico e ora ufficialmente in via di estinzione.

7) Scoprire che qui cambiare i Traveller Cheques può diventare un'avventura in stile Indiana Jones. Un consiglio: al momento del ritiro, i Traveller vanno firmati in alto a sinistra. Qualunque deroga a questo sano principio comporta cazzi cosmici: a sentire i ben informati, pare che molti locali si divertano un mondo a tirare scemi i turisti. Vuoi il benessere, gringo? Goditelo.

8) Intuire che, sotto la facciata godereccia di San Cristobal, c'è un pueblo sotterraneo dove acqua, salute e diritti essenziali sono un'utopia. Qui, come in altre zone del Paese, La vida no vale nada. E i soldi del turismo sono tutti per ladinos, gringos ed europei. Per i locali, briciole e stop.

9) Stare molto attenti a dove mettere i piedi. I marciapiedi di San Cristobal sono trappole mortali. Dove non arrivano auto e furgoni, che qui schizzano fra le stradine a settanta all'ora, arrivano le crepe, le buche, i tombini, i dislivelli, e in generale le barriere architettoniche che in questo angolo di mondo trovano una sorta di area protetta.

10) Puntare lo sguardo al cielo. Dove, grazie alle correnti di alta quota e alla particolare conformazione della valle di Jovel, ogni sera le onnipresenti nuvole di San Cris mettono in scena tramonti che sembrano presi di pacca da "Via col vento". Spettacolo garantito.

Saturday, August 11, 2007

L'orrore, l'orrore

E dai e dai, giunto alla mia quarta trasferta in terra messicana, finalmente ho scoperto il posto più brutto di tutto il Centroamerica, forse del globo: Chetumal. Come avevamo tragicamente intuito, la capitale del Quintana Roo non ha assolutamente niente da offrire o da raccontare, niente da provare, niente da scoprire. Tranne un museo della cultura Maya che oggi està cerrado. Via subito, dunque. O meglio, relativamente subito, visto che il bus parte tra nove ore, e noi siamo qui all'Internet Point del Terminal ADO a rimpolpare il blog per perdere un po' di tempo. Ma per fortuna, San Cris ci attende. E li sì che ne vedremo delle belle.

Friday, August 10, 2007

Interludio # 2: aspettando domani

4 agosto 2007. Il nostro viaggio ricomincia dalla piccola stazione dei Bus di Tulum. Sono circa le tre e mezza del pomeriggio. Il terminal de autobuses è immerso nell'afa di una depressione tropicale. Il caldo umido sa di terra bagnata, sterpaglie bruciate e junk food.

Su Televisa Deporte è l'ora della lucha libre, il wrestling messicano. Vedo passare sul teleschermo un tizio con lenti a contatto bianche che gli danno un'aria da body-builder zombificato, uno che sembra Rey Mysterio ma si presenta con il "nick" Psicosis, e un altro tizio con un costume da farfallone che sembra disegnato da Altan, e fa coppia fissa con un sidekick smpre disegnato da Altan, solo più piccolo. Si menano di brutto. Fra un match e l'altro, fioccano gli spot. Gratta e vinci, chat line e suonerie varie sono come quelli delle nostre parti. L'attesa del bus per Chetumal scivola via lenta come uno slow motion di un motoscafo in un mare di melassa. Dopo un'ora, finalmente, si parte.

Viaggio lungo e pallosetto. Quattro ore su una strada larga come il bus, e come unici diversivi, il verde della vegetazione che scorre fuori dai finestrini, o "Annapolis", una brutta copia di "Ufficiale e Gentiluomo" con James Franco nella parte che fu di Richard Gere. Mentre comincia a piovere, palme e platanos lasciano il posto a alberi bassi e cespugli radi, pueblitos senza nome e senza importanza e auto abbandonate.

Arriviamo a Chetumal col buio. Il posto è bruttarello, ma mai quanto l'albergo che abbiamo scelto, roba stile ergastolo. La stanza sembra una cella di Abu Ghraib. Il decor delle piastrelle fa pensare a uno che dopo essersi tagliato le vene si sia rotolato sul pavimento fino al decesso. L'aria condizionata non funziona. Il bagno sembra il set di "Saw", con tanto di cartello sui rischi del colera. E come se non bastasse, in Tv c'è solo "Batman & Robin".

Com'è che diceva Rossella O'Hara? Ah, già: domani è un altro giorno. Speriamo bene.

Wednesday, August 8, 2007

E la nave va

31 luglio. Quinto giorno.
Come su una nave da crociera, ma fermi: a Sian Kaan ci si sente così.

In questa lingua di sabbia coperta dalla giungla che fende come la chiglia di una nave da crociera il Mar dei Caraibi, dividendo le acque spumose dell'Atlantico dalla laguna di Campechen, la vita scorre secondo schemi apparentemente immutabili.

Subito dopo l'alba, due coppie di uccelli - precisiamo: pellicani e fregate - cominciano a far la spola fra il proprio nido e le acque basse del bagnasciuga, tuffandosi di tanto in tanto ad acciuffare un pesce o un mollusco di passaggio. Su e giù, su e giù, senza mai fermarsi, costeggiando un confine che per noi rimane invisibile. Uniche variazioni nel copione, i bisticci occasionali per il territorio, che spesso sfociano in duelli aerei tanto spettacolari quanto incruenti, e qualche contatto con le fronde delle palme da cocco.

Al pomeriggio, quando il sole comincia a calare sulla laguna a ovest, è il turno dei paguri e dei granchi violinisti. Sbucano dalle loro tane sabbiose, scalano le dune ricoperte di lavanda marina e uva de mar, e sciamano fra le palme e le cortecce urticanti del chechem, minuscole truppe corazzate di un esercito che ogni notte conquista la giungla per poi abbandonarla con il primo sole.

La notte appartiene alle tartarughe marine, che in questa stagione vengono sulla spiaggia per deporre le uova. Ieri sera, causa abbiocco, ce ne siamo persa una. Stasera, l'idea è quella di metterci una pezza: una passeggiata notturna sulla spiaggia non si rifiuta mai.

Nel frattempo, vita da crocieristi. Si mangia, si fa il bagnetto, si cazzeggia, si fa l'amore. Si spettegola sugli altri ospiti di questo transatlantico immobile. Una nonna con nipotina pestifera al seguito, una coppia di radical-chic inglesi molto Kurt Cobain e signora, una bellissima donna sugli anta con lo sguardo fiero da pasionaria e un curatissimo caschetto di capelli sale e pepe. E poi,ovviamente, ci si godono le coccole dello staff del centro ecoturistico che ci ospita. Un posto in cui giocare a "Io Tarzan, tu Jane" viene maledettamente facile.

Tuesday, August 7, 2007

Sulle orme di Pratt. O quasi

29 luglio. Terzo giorno.
Il nostro tassista si chiama Rafael. È un omone corpulento sulla cinquantina. Ha la fronte bassa, gli occhi piccoli e ravvicinati dei Maya purosangue e un bel paio di mustacchi molto Tex-Mex. Nonostante i 34 gradi umidi dell'estate di qui, è perfettamente all'altezza del suo ruolo di anfitrione improvvisato: camicia bianca immacolata senza una chiazza di sudore, pantaloni e scarpe nere perfettamente in ordine, capelli sfavillanti di brillantina, e una gran voglia di chiacchierare.

Ci racconta che Tulum è appena diventata municipio, cioè provincia, e che questo porterà nelle casse locali un bel po' di dindi, belli e pronti da investire in strutture turistiche: l'Aereoporto, gli immancabili alberghi di lusso, i negozi, gli shopping mall e tutto il resto. "Un po' come Playa Del Carmen", sogghigna.

Peccato, penso io, guardando fuori dal finestrino mentre la giungla bassa e fitta della biosfera di Sian Kaan ci avvolge in un abbraccio da grande mamma cosmica. A Tulum ci siamo fermati poco, giusto il tempo di dare una sbirciata alle rovine, fare un puccio nel Mar dei Caraibi e scoprire che la Lonely Planet, in fatto di alberghi fresh & clean, non sempre ci azzecca. Vedere, per credere, l'hotel Acuario.

Però, di cose da dire, ce ne sarebbero eccome. Nel bene e nel male. Perché Tulum ribadisce a ogni passo, casomai ce ne fosse bisogno, che il Messico è una terra dove il sublime e l'orrido vanno sempre a braccetto.

Per dire: le rovine. Dentro il perimetro delle mura, c'è un piccolo gioiello di architettura spirituale. Qui, come a Palenque o a Tikal, capisci al volo che i Maya non poggiavano neanche una pietra per caso. Dalla disposizione dei templi e degli edifici alla loro armonia quasi matematica, dal disegno delle mura massicce alla vista mozzafiato dell'oceano, tutto concorre a formare l'immagine mentale di un posto davvero speciale, un posto da difendere con le unghie e con i denti.

E il nemico, qui, è alle porte. Lo riconosci nelle tonnellate di cartacce, cicche e bottiglie disseminate intorno al sito. O all'insistenza con la quale gli aspiranti crocodile hunter locali inseguono le iguane fra i sassi e i cespugli. O ancora, dalla paraculaggine dei piazzisti di diving center in caccia di turisti da sacrificare al rito dello snorkeling. O di turiste single da circuire.

Eppure. Una volta ogni tot, il mare si incazza, e fa tabula rasa. Come dire: ricominciamo daccapo, che magari va meglio. È una minaccia sottile, che riconosci nei tavolini all'aperto, spesso e volentieri cementati al suolo. O dai cartelli che ti dicono dove nasconderti in caso di uragano. O dai turisti che non si sa mai, meglio fermarsi per poco, visto che è la stagione delle piogge. Proprio come noi.

Il mare, proprio lui. Questo mare così grande e grosso e azzurro e cazzuto che ora, lasciata Tulum alle spalle, finalmente ci circonda, cullandoci con la ninna nanna ipnotica di un mantra sempre uguale e sempre diverso.

Monday, August 6, 2007

Interludio # 1: da Cancun a Tulum

Secondo giorno. 28 luglio 2007. Fra le tante, troppe foto che ritraggono la shoah ce n'è una che mi è sempre rimasta in mente: quella del cancello d'entrata di Auschwitz, con i due piloni portanti, la scritta "Arbeit Macht Frei" e il reticolato di cinta con le garitte e i riflettori puntati sulle baracche dei reclusi.

Sulla strada fra Cancun e Tulum, rivedo quell'immagine una, cinque, venti volte, sui cancelli d'ingresso dei resort che punteggiano le coste di questa parte di mondo.

Tanti piccoli e grandi lager dai nomi altisonanti dove non si entra per crepare, ma per divertirsi. Ce n'è per tutti i gusti. Il Capitan Lafitte, ispirato al celebre bucaniere, denuncia la sua vocazione corsara nel look dei pali della luce, tutti travestiti da alberi maestri. Il Mayakoba combina gigantismo e minimal-chic in un insieme che ricorda molto il cimitero di Lambrate. Il Barcelò accoglie gli ospiti con due mascheroni di Itzam Na, onnipotente dio Maya dalla faccia truce. Il Sirenis sembra un film di fantascienza utopistica stile Zardoz.
Nello spaziotempo fra un resort e l'altro, sembra di essere nel varesotto o nella bergamasca. È il regno incontrastato delle fabbrichette che contribuiscono alle magnifiche sorti e progressive dell'industria locale del turismo. Dal cementificio Cemex al supermercato dei laterizi Construrama, dal mobilificio Casa Latina al tubificio Sonotubo, è tutto un inno al desarrollo local. A un certo punto, l'aria di Padania si fa palpabile: fra le varie insegne scorgo anche quella della BTicino. Viva la globalizzazione, mi dico. Ma mentre l'autobus si insinua fra le stradine di Playa Del Carmen, comincio a chiedermi dove si nasconda il paradiso tropicale che cerchiamo.

Benvenuti a Gringolandia

Agli americani che non sapevano dove andare a sbatter via i soldi, Dio ha dato Las Vegas. I messicani ci hanno aggiunto Cancun.

Dove trent'snni fa c'era una striscia di sabbia affacciata sul vetro liquido del mare di Quintana Roo, ora c'è un interminabile nastro grigio perso fra la vegetazione rada di questa regione e una sfilata di hotel immensi e immensamente orribili. Il resto è in tono: l'Hard Rock Cafe c'è. Ci sono vari McDonalds. E poi, ristoranti italiani fintissimi, finti locali reggae, fintissime disco giamaicane.

Insomma, un non luogo. un gigantesco luna-park fatto a immagine e somiglianza degli unici che sembrano apprezzare: appunto, gli americani.

Noi, di gringos in gita, ne abbiamo intravisti due. Anziani, rubizzi e grassocci come la maggior parte degli americani in gita. E come tutti gli americani in gita, sicuri di se stessi e del potere del dio dollaro, che qui mantiene intatto tutto il suo fascino. Li abbiamo visti, i gringos, rotolare giù dal colectivo che ci ha traghettato in città, per perdersi fra le architetture rinascimentali di un hotel da 400 camere emerso dal nulla un paio d'anni or sono: il Merriott Casa Magna. E' stato il primo impatto con una Cancun che finora avevamo solo immaginato, e nella realtà appare ancora più falsa e avara di vere emozioni che sui depliant All Inclusive e sulle guide turistiche.

Stesso discorso per i locali, nel senso degli indigeni, che l'orgoglio Maya l'hanno relegato nei menu dei comedores con free drink di accoglienza. E sono svagati, freddini. E anche un po' stronzi.

Meno male che è solo una sveltina. Prossima fermata: Tulum.