Friday, August 17, 2007

Una città a modino: Campeche

Ciudad De Campeche, o più semplicemente Campeche, ricorda un po' la riviera ligure. Sarà il fatto che il mare c'è ma non si vede, nascosto com'è dai muraglioni eretti dagli spagnoli nel diciottesimo secolo per difendere la città da filibustieri e corsari. Saranno le tinte pastello degli edifici del centro historico, una scala Pantone di colori che va dal giallo, al verdino, all'azzurro, al rosa e al rosso carminio. O sarà il sorriso dei Campecheani, una mezzaluna candida di ironia salmastra sempre pronta a stamparsi in faccia alla gente. Sta di fatto che, come la Riviera Ligure, anche Campeche ha un carattere completamente diverso dalle altre città di mare della penisola dello Yucatan. Un carattere molto, molto levantino.
Qui, la cosa migliore da fare per passare il tempo è vagare per le vie intorno al Parque Principal alla ricerca di tesori architettonici come la Mansion Carvajal, la splendida magione moresca di calle 53, o l'ex cinema Selem all'incrocio fra la 57 e la 12, un bel saggio di architettura Anni 50.
E se i musei locali raggiungono una sufficienza stiracchiata - carini quelli di archeologia al baluarte de la soledad e al fuerte San Miguel, molto meno quello sulla marineria di Fuerte San Josè - la città merita comunque un soggiorno. E chi cerca emozioni più forti può usarla come campo base, perché sta a un tiro di schioppo dalla selva del Petén e dalle sue tante città perdute, o dai pueblos inondati dal sole dello Yucatan.
Tornando a noi: mentre i giorni cadono giù dal calendario, ci avviciniamo a una delle nostre ultime destinazioni, Izamal. La tappa intermedia è il terminal bus noreste di Merida, una stazione a metà fra un romanzo di Marquez e le FS dei primi Anni 70. Tappezzeria strappata, qualche ventilatore da terra che tenta stoicamente di arginare il caldo soffocante e un Deli-Mart che farebbe la gioia di ogni ufficio d'igiene in vena di crudeltà, dove acquistiamo un pacchetto di galletas Globitos Donde e una Coca per tappare un buchino. Questi piccoli cracker hanno una confezione kitschissima con una sorta di patatone antropomorfo in tenuta da chef, e sanno di buono. Meglio prender nota: di queste cose ci si dimentica in fretta. E in un diario di viaggio, sono i piccoli dettagli a fare la differenza.

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