Agli americani che non sapevano dove andare a sbatter via i soldi, Dio ha dato Las Vegas. I messicani ci hanno aggiunto Cancun.
Dove trent'snni fa c'era una striscia di sabbia affacciata sul vetro liquido del mare di Quintana Roo, ora c'è un interminabile nastro grigio perso fra la vegetazione rada di questa regione e una sfilata di hotel immensi e immensamente orribili. Il resto è in tono: l'Hard Rock Cafe c'è. Ci sono vari McDonalds. E poi, ristoranti italiani fintissimi, finti locali reggae, fintissime disco giamaicane.
Insomma, un non luogo. un gigantesco luna-park fatto a immagine e somiglianza degli unici che sembrano apprezzare: appunto, gli americani.
Noi, di gringos in gita, ne abbiamo intravisti due. Anziani, rubizzi e grassocci come la maggior parte degli americani in gita. E come tutti gli americani in gita, sicuri di se stessi e del potere del dio dollaro, che qui mantiene intatto tutto il suo fascino. Li abbiamo visti, i gringos, rotolare giù dal colectivo che ci ha traghettato in città, per perdersi fra le architetture rinascimentali di un hotel da 400 camere emerso dal nulla un paio d'anni or sono: il Merriott Casa Magna. E' stato il primo impatto con una Cancun che finora avevamo solo immaginato, e nella realtà appare ancora più falsa e avara di vere emozioni che sui depliant All Inclusive e sulle guide turistiche.
Stesso discorso per i locali, nel senso degli indigeni, che l'orgoglio Maya l'hanno relegato nei menu dei comedores con free drink di accoglienza. E sono svagati, freddini. E anche un po' stronzi.
Meno male che è solo una sveltina. Prossima fermata: Tulum.
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