4 agosto 2007. Il nostro viaggio ricomincia dalla piccola stazione dei Bus di Tulum. Sono circa le tre e mezza del pomeriggio. Il terminal de autobuses è immerso nell'afa di una depressione tropicale. Il caldo umido sa di terra bagnata, sterpaglie bruciate e junk food.
Su Televisa Deporte è l'ora della lucha libre, il wrestling messicano. Vedo passare sul teleschermo un tizio con lenti a contatto bianche che gli danno un'aria da body-builder zombificato, uno che sembra Rey Mysterio ma si presenta con il "nick" Psicosis, e un altro tizio con un costume da farfallone che sembra disegnato da Altan, e fa coppia fissa con un sidekick smpre disegnato da Altan, solo più piccolo. Si menano di brutto. Fra un match e l'altro, fioccano gli spot. Gratta e vinci, chat line e suonerie varie sono come quelli delle nostre parti. L'attesa del bus per Chetumal scivola via lenta come uno slow motion di un motoscafo in un mare di melassa. Dopo un'ora, finalmente, si parte.
Viaggio lungo e pallosetto. Quattro ore su una strada larga come il bus, e come unici diversivi, il verde della vegetazione che scorre fuori dai finestrini, o "Annapolis", una brutta copia di "Ufficiale e Gentiluomo" con James Franco nella parte che fu di Richard Gere. Mentre comincia a piovere, palme e platanos lasciano il posto a alberi bassi e cespugli radi, pueblitos senza nome e senza importanza e auto abbandonate.
Arriviamo a Chetumal col buio. Il posto è bruttarello, ma mai quanto l'albergo che abbiamo scelto, roba stile ergastolo. La stanza sembra una cella di Abu Ghraib. Il decor delle piastrelle fa pensare a uno che dopo essersi tagliato le vene si sia rotolato sul pavimento fino al decesso. L'aria condizionata non funziona. Il bagno sembra il set di "Saw", con tanto di cartello sui rischi del colera. E come se non bastasse, in Tv c'è solo "Batman & Robin".
Com'è che diceva Rossella O'Hara? Ah, già: domani è un altro giorno. Speriamo bene.
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