A vederla sulla Lonely Planet o sulla pagina web ufficiale, Izamal promette benissimo: architettura coloniale a strafottere, la terza piramide Maya per dimensioni in tutto il Messico, una solida reputazione nel campo dell'accoglienza e addirittura una sede del Rotary. Mica cazzi.
Quando ci arrivi, però, scopri una realtà diversa. Perché la ciudad amarilla è un microcosmo a sé. E il suo fascino non sta tanto nelle facciate del Convento di Sant'Antonio da Padova, che visto da vicino mostra tutte le magagne accumulate in cinquecento anni. Ma in una atmosfera sospesa che con il passare dei giorni ti ipnotizza e non ti molla più.
Izamal odora di malinconia, letame di cavallo e pelle finta. Di candeggina e frittura da quattro soldi. Di saramuyo e sabbia riarsa dal sole. Izamal è una macchina del tempo che basta passeggiarci dentro e puff, si torna a un mondo che esiste solo nei ricordi confusi dell'infanzia o nei film neorealisti. Izamal è bella dentro. Tanto che appena riesci a imprigionarla nel mirino della reflex, tutti i suoi difetti svaniscono. E quello che ti resta è un marchio giallo negli angoli blu cobalto della mente. Punto e stop.
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